L’analisi di BERNIE SANDERS sul conflitto israelo-palestinese partendo dalle guerre in medio oriente.
Il conflitto non è nato dsi razzi di Hamas su Israele.
Sul New York Times di venerdì 14 maggio 2021 è uscito l’articolo del senatore Bernie Sanders Bernie che è ebreo. Gli diranno ora che è antisemita?
Bernie Sanders: Gli Stati Uniti devono smettere di essere apologeti del governo Netanyahu
“Israele ha il diritto di difendersi”.
Queste sono le parole che sentiamo sia dall’amministrazione democratica che da quella repubblicana ogni volta che il governo di Israele , con il suo enorme potere militare, risponde agli attacchi missilistici da Gaza.
Siamo chiari. Nessuno sostiene che Israele, o qualsiasi governo, non abbia il diritto all’autodifesa o alla protezione del suo popolo. Allora perché queste parole vengono ripetute anno dopo anno, guerra dopo guerra? E perché la domanda non viene quasi mai posta: “Quali sono i diritti del popolo palestinese?”
E perché ci sembra di prendere atto della violenza in Israele e Palestina solo quando i razzi stanno cadendo su Israele?
In questo momento di crisi, gli Stati Uniti dovrebbero sollecitare un cessate il fuoco immediato. Dovremmo anche capire che, mentre Hamas lancia razzi contro le comunità israeliane è assolutamente inaccettabile, il conflitto di oggi non è iniziato con quei razzi.
Le famiglie palestinesi nel quartiere di Gerusalemme di Sheikh Jarrah vivono da molti anni sotto la minaccia di sfratto, navigando in un sistema legale progettato per facilitare il loro spostamento forzato. E nelle ultime settimane, i coloni estremisti hanno intensificato i loro sforzi per sfrattarli.
E, tragicamente, quegli sfratti sono solo una parte di un più ampio sistema di oppressione politica ed economica. Per anni abbiamo assistito a un approfondimento dell’occupazione israeliana in Cisgiordania e a un continuo blocco su Gaza che rendono la vita sempre più intollerabile per i palestinesi. A Gaza, che conta circa due milioni di abitanti, il 70 per cento dei giovani è disoccupato e ha poche speranze per il futuro.
Inoltre, abbiamo visto il governo di Benjamin Netanyahu lavorare per emarginare e demonizzare i cittadini palestinesi di Israele, perseguire politiche di insediamento progettate per precludere la possibilità di una soluzione a due stati e approvare leggi che rafforzano la disuguaglianza sistemica tra cittadini ebrei e palestinesi di Israele.
Niente di tutto ciò scusa gli attacchi di Hamas, che erano un tentativo di sfruttare i disordini a Gerusalemme, o i fallimenti dell’Autorità Palestinese corrotta e inefficace, che di recente ha rinviato elezioni da tempo attese. Ma il nocciolo della questione è che Israele rimane l’unica autorità sovrana nella terra di Israele e Palestina, e invece di prepararsi per la pace e la giustizia, ha rafforzato il suo controllo ineguale e antidemocratico.
In oltre un decennio del suo governo di destra in Israele, Netanyahu ha coltivato un nazionalismo razzista di tipo sempre più intollerante e autoritario. Nel suo frenetico tentativo di rimanere al potere ed evitare procedimenti giudiziari per corruzione, Netanyahu ha legittimato queste forze, incluso Itamar Ben Gvir e il suo partito estremista Jewish Power, inserendole nel governo . È scioccante e triste che le folle razziste che attaccano i palestinesi per le strade di Gerusalemme ora abbiano una rappresentanza nella sua Knesset.
Queste tendenze pericolose non sono uniche per Israele. In tutto il mondo, in Europa, in Asia, in Sud America e qui negli Stati Uniti, abbiamo assistito all’ascesa di simili movimenti nazionalisti autoritari. Questi movimenti sfruttano gli odi etnici e razziali per costruire potere per pochi corrotti piuttosto che prosperità, giustizia e pace per molti. Negli ultimi quattro anni, questi movimenti hanno avuto un amico alla Casa Bianca.
Allo stesso tempo, stiamo assistendo all’ascesa di una nuova generazione di attivisti che vogliono costruire società basate sui bisogni umani e sull’uguaglianza politica. Abbiamo visto questi attivisti nelle strade americane la scorsa estate sulla scia dell’omicidio di George Floyd. Li vediamo in Israele. Li vediamo nei territori palestinesi.
Con un nuovo presidente, gli Stati Uniti hanno ora l’opportunità di sviluppare un nuovo approccio al mondo, basato su giustizia e democrazia. Che si tratti di aiutare i paesi poveri a ottenere i vaccini di cui hanno bisogno, di guidare il mondo nella lotta al cambiamento climatico o di lottare per la democrazia e i diritti umani in tutto il mondo, gli Stati Uniti devono guidare promuovendo la cooperazione sui conflitti.
In Medio Oriente, dove forniamo quasi 4 miliardi di dollari all’anno in aiuti a Israele, non possiamo più essere apologeti del governo di destra Netanyahu e del suo comportamento antidemocratico e razzista. Dobbiamo cambiare rotta e adottare un approccio equilibrato, che sostenga e rafforzi il diritto internazionale in materia di protezione dei civili, così come la legislazione statunitense esistente che afferma che la fornitura di aiuti militari statunitensi non deve consentire violazioni dei diritti umani.
Questo approccio deve riconoscere che Israele ha il diritto assoluto di vivere in pace e sicurezza, ma lo hanno anche i palestinesi. Credo fermamente che gli Stati Uniti abbiano un ruolo importante da svolgere nell’aiutare israeliani e palestinesi a costruire quel futuro. Ma se gli Stati Uniti vogliono essere una voce credibile sui diritti umani sulla scena globale, dobbiamo sostenere gli standard internazionali dei diritti umani in modo coerente, anche quando è politicamente difficile. Dobbiamo riconoscere che i diritti dei palestinesi sono importanti. Le vite palestinesi contano.
Mentre la conta dei morti nella Striscia di Gaza sale, soprattutto bambini, 8 solo in un attacco nel campo profughi di Al Shati, i raid israeliani puntano a colpire centri nevralgici della stampa scomoda. Come è avvenuto alle 14,30 di oggi nell’area commerciale di Gaza City, dove era situato l’edifico che ospitava la sede di Al Jazeera e di altre emittenti straniere, tra cui Associated Press: il palazzo dei media internazionali. L’esercito israeliano, con un comunicato diffuso intorno alle 13,30, ha dato un’ora di tempo ai giornalisti e allo staff che lavorava negli uffici della stampa estera per evacuare la struttura. Puntuale è arrivato il bombardamento che ha distrutto l’edificio, fortunatamente vuoto. Un episodio grave, un precedente che viola tutte le norme del diritto internazionale e della civiltà umana. Dal Qatar non è tardata la razione ufficiale di al-Jazeera che oltre a condannare il bombardamento da parte di Israele del palazzo dei media non ha esitato a definire l’azione militare “un atto barbaro che prende di mira la sicurezza dei nostri giornalisti e impedisce loro di rivelare la verità’”. Israele ha giustificato il raid affermando che all’interno dell’edificio c’erano “asset militari” di Hamas. Affermazioni smentite da tutte le emittenti con sede dell’edificio, in primis Al Jazeera che ha chiesto alla comunità internazionale di intervenire e proteggere i giornalisti sottolineando come sia ormai evidente che Israele abbia intrapreso questa guerra “non solo per diffondere frustrazione e morte a Gaza ma anche silenziare i media che stanno testimoniando la verita’”. Anche dall’Associated Press è arrivata una dura reazione dicendosi “scioccata e inorridita da uno sviluppo incredibilmente inquietante”,. Attraverso Gary Pruitt, amministratore delegato dell’agenzia di stampa internazionale, Ap ha sottolineato che è stata “evitata per poco una terribile perdita di vite”. Pruitt ha aggiunto che sono state chiesti chiarimenti e informazioni al governo israeliano e di essere in contatto col dipartimento di Stato americano “per saperne di più”. Non a caso i primi a reagire e a rispondere alla sollecitazione a condannare l’episodio sono stati proprio gli USA che attraverso la portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki, poco dopo il bombardamento da parte dell’esercito israeliano della torre a Gaza City hanno fatto sapere di aver “detto direttamente agli israeliani” che garantire la sicurezza e l’incolumità dei giornalisti e dei media indipendenti è una responsabilità di primaria importanza. Purtroppo attacchi che hanno coinvolto operatori dell’informazione, più o meno in modo diretto e mirato, si stanno verificando sia a Gaza che nei territori occupati. Tra le vittime vogliamo ricordare Reema Saad, una giornalista di 30 anni, incinta al quarto mese. Secondo la testata Middle East Eye, il raid in cui è rimasta vittima Reema è avvenuto intorno all’1.30 di ieri mattina nella zona residenziale di Tal al-Hawa, a sud di Gaza. La collega era nel suo appartamento con il marito e i due figli, di cinque e tre anni. La morte di Reema, seppur non avvenuta mentre era impegnata nel suo lavoro, richiama comunque l’attenzione sul grave tributo pagato dai media in questa crisi, come evidenziato dal Committee to Protect Journalists (Cpj) che già nei giorni scorsi aveva segnalato che due edifici, a Gaza City, che ospitavano gli uffici di una dozzina di testate, locali e internazionali, erano stati rasi al suolo. Anche in quel caso l’esercito israeliano aveva avvisato in anticipo dell’attacco alle torri al-Jawhara e Al-Shorouk, di 12 piani, ma il Cpj non è stato in grado di verificare se l’avvertimento sia stato sufficiente a evitare vittime. La Bbc ha rilanciato le dichiarazioni delle autorità locali, secondo cui ci sarebbero stati dei morti. “È assolutamente inaccettabile che Israele bombardi e distrugga gli uffici dei media mettendo in pericolo la vita dei giornalisti, soprattutto perché le autorità israeliane sanno dove si trovano questi media. Israele deve porre fine a questi raid e garantire che i giornalisti possano svolgere il proprio lavoro in sicurezza, senza paura di essere feriti o uccisi” ha dichiarato Ignacio Miguel Delgado, rappresentante di Cpj per il Medio Oriente e il Nord Africa, appello che facciano nostro è rilanciamo sia come singoli giornalisti che come Articolo 21.
Quale è la differenza tra la soluzione finale del nazismo e il genocidio dei Palestinesi da parte dello stato ebraico?
La differenza è sostanziale: i nazisti godevano dei loro crimini e li documentavano minuziosamente con foto e filmati. Israele invece gode dei suoi crimini, ma non vuole testimoni del genocidio dei palestinesi e allora con un motivo tanto falso quanto strumentale, “Hamas usa i grattacieli per scopi militari”, distrugge la sede delle televisioni e gli organi di stampa esteri, testimoni scomodi della strage infinita di bambini, donne e civili palestinesi. No non che chiamatela guerra perché a Gaza Israele sta realizzando la “soluzione finale”: il massacro di tutti i palestinesi e della pace in medio oriente.
Israele è una superpotenza militare, economica e politica, che per garantire l’equilibrio politico interno, impedire la creazione di un governo appoggiato dai partiti che rappresentano gli interessi arabi, per salvare il potere personale del premier Netanyau accusato di corruzione sta bombardando un fazzoletto di terra, una prigione a cielo aperto in cui sono rinchiusi 2 milioni di palestinesi, una striscia sovrappopolata, poverissima ed esposta all’impossibilità di assistere malati, feriti e persone esposte alle epidemie.
Non esiste un conflitto tra Arabi e israeliani, quello a cui stiamo assistendo è lo sterminio di un popolo incolpevole, massacrato, violentato e torturato da una classe dirigente che ha poco da invidiare agli aguzzini nazifascisti da cui hanno imparato a torturare e uccidere, ma non l’importanza di non ripetere gli orrori dei campi di sterminio.
Il “conflitto” tra Israele e Gaza, quello che i nostri politici fanno finta di non vedere, quello che li ha portati a manifestare a favore degli oppressori, di Israele, mentre uccidevano donne e bambini senza neppure nascondersi dietro l’alibi dell’equidistanza e dell’obiettività, ma di fatto rendendosi complici di quello sterminio invece di chiedere a Israele di smettere di segregare, discriminare, bombardare, esprpiarele le terre dei palestinesi per creare insediamenti di coloni, di sfrattare i palestinesi dalle loro case e deportarli nella striscia di Gaza in cui infine moriranno sotto i missili con la stella di David.
Se le parole sono importanti e allora smettiamola allora di chiamarla guerra, tra Israele e Palestina, smettiamo di raccontare la “balla” per cui le due parti lottano per far soccombere l’altra.
Forse qualche decennio fa poteva essere un ottima idea, una acrobazia in cui le parole nascondevano la realtà. una realtà molto più cruda da accettare. l’annessione dei territori palestinesi nello stato ebraico in barba alle risoluzioni dell’Onu e alle guerre scatenate dagli alleati occidentali dello stato ebraico per punire altri stati come la Libia, l’Iraq o la ex Jugoslavia, ma un tempo forse era così, forse, ma oggi le forze in campo sono talmente sbilanciate che non ha alcun senso parlare di conflitto. Quello che abbiamo di fronte è un massacro a senso unico.
Lo raccontano giorni e le ore di bombardamenti su Gaza in cui i morti dall’inizio delle ostilità non si contano più mentre le cifre ufficiali sono ormai inattendibili tanta è la distruzione realizzata a Gaza. Tanti bambini, 11 solo nelle ultime ore, cui si sommano più di 1.000 feriti, contro i sette morti israeliani.
Lo racconta la facilità con cui il sistema d’arma mobile Iron Dome,letteralmente Cupola di Ferro, ha intercettato e reso inoffensiva la pioggia di missili di Hamas su Tel Aviv e sulle altre città.
Ma più che le statistiche lo racconta la sproporzione della forza economica e militare messa in campo da Israele contro un fazzoletto di terra lungo 40 chilometri e largo 10, poverissimo e sovrappopolato che si ritrova a combattere nemmeno si capisce bene per cosa contro un nemico ricchissimo, all’avanguardia globale della tecnologia militare e scientifica. I fatti raccontano che stiamo parlando del primo Paese al mondo che ha raggiunto l’immunità di gregge contro il Covid-19, che circonda Gaza su tre lati del confine, assediandolo e impedendo qualsiasi forma di libera circolazione dei suoi abitanti, fosse anche solo per cercare un lavoro fuori dalla città “carcere”.
In Sudafrica sarebbe stato chiamato apartheid, segregazione e nessuno politico parlerebbe in pubblico di equidistanza come sinonimo di obiettività. Ma siamo in Medio Oriente, dove ancora dobbiamo confrontarci con quella materia oscura, che infiamma le coscienze che è la Shoah e il senso di colpa dell’occidente per secoli di persecuzioni antisemite mentre agli antipodi dobbiamo fare i conti con l’idea dell’islamofobia, che terrorizza le nostre società dopo gli attentati di matrice islamista.
In questo contesto del massacro di Gaza ci importa relativamente poco esattamente come poco ci importa del fatto che Israele decida a proprio piacimento, come ha fatto con le deportazioni di Sheikh Jarrah, di alzare la strategia della tensione per avere il pretesto per tagliare l’erba di Gaza a suon di bombe, per far dimenticare gli scandali che coinvolgono il presidente Bibi Netanyahu con una eccezionale prova di forza, per far insediare altri coloni israeliani nei Territori palestinesi, in nome della sicurezza nazionale e del diritto a Israele a esistere.
Ma quello di cui, caro segretario del partito Democratico, Enrico Letta, parliamo è il diritto di Gaza a esistere, non quello di Israele.
Se la comunità internazionale nutrisse solo il piccolo dubbio che quel diritto vada difeso forse dovremmo smetterla con le ipocrite e pilatesche manifestazioni di equidistante solidarietà e chiedere a Israele di smettere di segregare, discriminare, bombardare chi vive nell’enclave di Gaza.
Se non lo facciamo, e non lo stiamo facendo, non siamo altro che complici di un massacro a senso unico, l’ennesimo che non solo non facciamo finta di non vedere, ma che giustifichiamo.
Niente di nuovo, caro segretario Enrico Letta, solo vergogna tanta vergogna di essere un Democratico impegnato a difendere i diritti delle persone, della legge e delle istituzioni.
ISRAELE PER TUTTO IL GIORNO HA AMMASSATO TRUPPE AL CONFINE CON GAZA, LA CITTA’ CHE PER ANNI E’ STATO IL CARCERE A CIELO APERTO IN CUI LO STATO EBRAICO HA DEPORTATO DECINE DI CIVILI PALESTINESI ESPROPIATI DELLA LORO TERRA, SFRATTATI DALLE LORO CASE PER FAR POSTO AGLI INSEDIAMENTI DEI COLONI ISRAELIANI.
Le truppe israeliane hanno attaccato Gaza da terra contro le postazioni di hamas, bersagliate negli ultimi giorni da pesantissimi raid aerei dopo la pioggia di razzi verso lo Stato ebraico.
Ha scritto il premier israeliano Benyamin Netanyahu in un messaggio pubblicato su Twitter: “Ho detto che avremmo fatto pagare un prezzo molto alto ad Hamas. Lo facciamo e continueremo a farlo con grande intensità. L’ultima parola non è stata detta e questa operazione proseguirà per tutto il tempo necessario”.
L’esercito ha richiamato migliaia di riservisti in previdsione di un attacco su vasta scala contro la striscia di Gaza. L’attacco via terra contro Hamas è pronto mentre continuano a piovere razzi su Tel Aviv e bombardamenti aerei su Gaza.
Lo scontro di terra ormai più che un rischio è un fatto e intanto si aggrava il numero di vittime palestinesi: Un pesante bombardamento aereo ha ucciso 11 civili, 50 feriti e un’intera famiglia, compresi quattro bambini e la madre incinta, è rimasta uccisa in un pesante bombardamento israeliano nella zona di Sheikh Zayed, nel nord di Gaza.
Il conflitto è giunto al quarto giorno e le possibilità di un cessate il fuoco imminente sono ridotte al lumicino.
La comunità internazionale lancia solo qualche timido appello per la de-escalation e muove qualche timido tentativo di mediazione. La gravissima situazione al confine tra Gaza e Israele è ulteriormente aggravata dalla crisi interna con le violenze incessanti tra ebrei ed arabi.
L’ingresso diretto a Gaza come confermato dal portavoce militare Hudai Zilberman è una opzione sicura come mostra lo spiegamento di truppe al confine “si stanno preparando, stanno studiando il campo ed entreranno in azione quando sarà deciso”.
L’ esercito ha richiamato ulteriori 5 mila unità e disposto il richiamo di altri 7 mila riservisti, privilegiando esperti di Iron Dome e di intelligence, lasciando fuori fanteria e truppe corazzate già schierate in forze sul fronte di Gaza.
I numeri della crisi israelo-palestinese parlano chiaro: dalla Striscia sono piovuti su Israele circa 1.600 razzi di nuova concezione, bersagliato le zone a sud e centrali del paese, di nuova concezione, accompagnati dalla novità dei droni esplosivi.
L’aviazione ebraica ha effettuato 600 attacchi, che hanno colpito indiscriminatamente la catena di comando e di intelligence di Hamas, della Jihad, contro i lanciatori di missili anti tank e i civili. I militari parlano di 60-70 i miliziani uccisi, ma non parlano dell’enorme numero di civili coinvolti negli scontri. I militari spiegano di aver centrato una struttura dei servizi di Hamas con dentro “dozzine di terroristi operativi”. L’edificio serviva come comando principale per la sua rete di sorveglianza.
Il bilancio, secondo il ministero della Sanità di Gaza, è di 103 morti: 27 bambini e 11 donne e oltre 500 feriti.
Gli esperti hanno spiegato che Hamas sta mostrando una crescente e innovativa capacità di fuoco usando, come ha rivelato Abu Obeida, portavoce delle Brigate al-Qassam, ala militare dell’organizzazione, i nuovi razzi denominati “Ayash250”, che avrebbero una gittata di 250 chilometri.
I razzi Ayash250 sono stati stati lanciati verso l’aeroporto internazionale Ramon, a nord di Eilat, che è distante dalla Striscia mentre la minaccia di nuovi attacchi ha portato le maggiori compagnie aeree europee e americane a sospendere i voli per l’aeroporto Ben Gurion.
La maggiore preoccupazione della leadership israeliana viene dall’interno del paese sconvolto dalle violenze che da giorni, dagli scontri di Gerusalemme, stanno infiammando le città miste, teatri di una caccia tra ebrei e arabi, le case degli arabi da attaccare contrassegnate con simboli, che richiamano alla memorie le pratiche dei nazisti e dei fascisti dopo l’emanazione delle leggi razziali, con tentativi di linciaggio.
Il ministro della Difesa Benny Gantz per ripristinare l’ordine ha ordinato “un massiccio rinforzo” delle forze di polizia nel tentativo di raffreddare “gli attacchi contro civili ebrei ed arabi”.
Ganz ha spiegato che “Siamo in stato di emergenza” e disposto il rinforzo di 10 battaglioni della polizia di frontiera, ma ha precisato che “nessun soldato sarà coinvolto in queste attività, visto che non fanno parte della missione dell’esercito”.
La politica di ganz non è condivisa dal premier Benyamin Netanyahu che invece da Lod, cittadina da cui sono scoppiate le violenze, ha annunciato che per sedare i disordini Israele potrebbe “fare ricorso ad arresti amministrativi, non convalidati da un giudice, ricorrendo ai soldati, come peraltro avviene anche in altri Paesi.
I disordini continuano a dilagare da Bat Yam a Haifa, da Tiberiade al Negev alla periferia di Tel Aviv e ad Acco (S.Giovanni d’Acri), dove è stato incendiato uno dei più famosi ristoranti della città, ‘Uri Buri’, di proprietà di un ebreo.
La spirale di violenza ha colpito negozi e proprietà arabe.
La politica israeliana pare essersi rinsaldata dall’inizio degli scontri e sembra allontanarsi un governo di unità anti-Netanyahu.
Il leader di Yamina Naftali Bennett ha escluso di poter far parte di un esecutivo con Yair Lapid anzi Bennett è deciso a riprendere i colloqui con il Likud di Netanyahu, proprio a causa dei disordini tra arabi ed ebrei mentre al governo alternativo a Netanyahu si accreditava la possibilità che potesse essere sostenuto dall’esterno dai partiti arabi.
Nella Striscia di Gaza Israele prepara l’invasione via terra: “Ci prepariamo alla battaglia”.
I lanci di razzi e i raid tra Israele e i Territoripalestinesi sono il preludio ad una nuova invasione via terra da parte dei militari dello Stato ebraico dopo sette anni da Protective Edgein cui morirono oltre 2.200 persone.
L’esercito di Israele sta inviando rinforzi al confine: “Ci sono truppe che vengono spostate verso il confine. È una mossa preparatoria”, ha spiegato fonti militari alla Bbc, aggiungendo che ai comandanti e ai militari al confine con Gaza è stato ordinato dal governo di prepararsi per “ogni eventualità di un’escalation”.
Sul fronte diplomatico la situazione è in stallo, gli Stati Uniti nel corso di una riunione a porte chiuse hanno nuovamente bloccato l’adozione di una dichiarazione del Consiglio di sicurezza dell’Onu sulla crisi in Medio Oriente giudicandola “controproducente”.
Una seconda riunione d’urgenza in tre giorni è stata richiesta da Tunisia, Norvegia e Cina, ma gli Stati Uniti hanno respinto la proposta di adottare una dichiarazione che chiedesse una “riduzione dell’escalation, un cessate il fuoco e la ripresa dei negoziati”.
Israele rifiuta il coinvolgimento del Consiglio di sicurezza nel conflitto e Washington si è mosso nella stessa direzione.
Per gli Usa ha spiegato una fonte diplomatica: “il Consiglio di sicurezza mostra la sua preoccupazione incontrandosi, non c’è bisogno di altro”, ma 14 dei 15 membri del Consiglio di Sicurezza erano favorevoli all’approvazione del testo proposto.
DICHIARAZIONE DELL’AMBASCIATRICE DELLA PALESTINA IN ITALIA
Intristisce vedere diversi leader politici italiani mostrare la propria solidarietà a Israele senza spendere una parola sulla sue responsabilità per quello che sta accadendo in questi giorni in quell’area. Chiunque abbia letto i giornali nelle ultime settimane sa che la miccia è stata accesa dalla repressione israeliana durante le celebrazioni del Ramadan, dalla pulizia etnica che Tel Aviv porta avanti a Gerusalemme Est Occupata, e dal boicottaggio delle elezioni palestinesi, derivante dalla proibizione di far votare i cittadini di questa città, la legittima capitale dello Stato di Palestina, dove la violenza e le provocazioni delle forze di occupazione e dei coloni hanno raggiunto livelli mai visti, fino a profanare i luoghi sacri.
Per non parlare del silenzio davanti alle continue violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale accertate ripetutamente dall’ONU, e dell’inerte indifferenza di fronte all’occupazione e alle sue conseguenze: l’espandersi delle colonie illegali, la demolizioni delle case palestinesi, le detenzioni arbitrarie, le uccisioni ingiustificate, le condizioni di vita miserabili alle quali sono condannati i palestinesi, l’Apartheid, l’impossibilità di avere un proprio Stato. Insomma, ci saremmo aspettati di vedere questi leader in piazza per chiedere la fine dell’occupazione, non per sostenere un’occupazione illegale.
Manca poi qualsiasi apprezzamento per lo sforzo della leadership palestinese di resistere a tutto questo in modo pacifico. I palestinesi uccisi dagli ultimi bombardamenti israeliani su Gaza sono ad oggi 83. 17 erano bambini e 7 donne. I feriti 487. Si tratta di un’aggressione militare che traumatizza ulteriormente una popolazione già bersagliata, fatta di 2 milioni di persone che vivono da 14 anni sotto assedio, separati dal resto del mondo e vulnerabili alla macchina da guerra della potenza occupante, senza la protezione internazionale di cui hanno disperato bisogno e che il diritto internazionale umanitario conferisce loro. Appare evidente come non possa esserci alcuna giustificazione per simili attacchi indiscriminati contro una popolazione civile; eppure, nemmeno questo, per molti, merita un commento.
Resta il fatto che non ci sarà mai pace senza giustizia, e senza un deciso appoggio internazionale al popolo palestinese e alle sue legittime rivendicazioni. Se il sostegno internazionale non arriva, è comprensibile che un popolo oppresso provi ad esercitare il proprio diritto all’autodifesa. Ma la speranza è che questo aiuto arrivi. Per questo ringraziamo di cuore tutte le associazioni, i movimenti e le forze politiche italiane che, in controtendenza, hanno scelto di stare dalla parte giusta, mostrando a noi palestinesi, alle vittime anziché ai carnefici, una vicinanza davvero preziosa in un momento così drammatico.
L’attacco di Moni Ovadia: “La politica di Israele è infame, strumentalizza la shoah”
L’artista sugli scontri a Gerusalemme: “Io sono ebreo, ma le vittime sono i palestinesi abbandonati da tutti”.
In una intervista Moni Ovadia, commenta l’escalation di violenza in Medio Oriente che è sfociata in una lunga notte di bombardamenti tra Israele e la Striscia di Gaza: “La politica di questo governo israeliano è il peggio del peggio. Non ha giustificazioni, è infame e senza pari. Vogliono cacciare i palestinesi da Gerusalemme est, ci provano in tutti i modi e con ogni sorta di trucco, di arbitrio, di manipolazione della legge. E’ una vessazione ininterrotta che ogni tanto fa esplodere la protesta dei palestinesi, che sono soverchiamente le vittime, perché poi muoiono loro, vengono massacrati loro”.
“La politica di Israele è segregazionista, razzista, colonialista -scandisce l’attore, musicista e scrittore di origine ebraica- E la comunità internazionale è di una parzialità ripugnante. Tranne qualche rara eccezione, paesi come la Svezia e qualche paese sudamericano, non si ha lo sguardo per vedere che la condizione del popolo palestinese è quella del popolo più solo, più abbandonato che ci sia sulla terra perché tutti cedono al ricatto della strumentalizzazione infame della shoah”. Moni Ovadia spiega ancora meglio: “Tutto questo con lo sterminio degli ebrei non c’entra niente, è pura strumentalizzazione. Oggi Israele è uno stato potentissimo, armatissimo, che ha per alleati i paesi più potenti della terra e che appena fa una piccola protesta tutti i Paesi si prostrano, a partire dalla Germania con i suoi terrificanti sensi di colpa”.
la famiglia reale Inglese è in lutto per la morte del principe Filippo (99 anni), marito della regina Elisabetta II: , all’età di 99 anni. La notizia è stata comunicata dal Palazzo di Buckingham.
Il comunicato di Buckingam Palace in un twitt: “Il principe Filippo, marito della regina del Regno Unito Elisabetta II, è morto all’età di 99 anni.
Il Principe Filippo era nato a Corfù nel 1921 e avrebbe compiuto 100 anni il prossimo 10 giugno.
Il Principe Filippo di Grecia e di Danimarca era nato a Corfù il 10 giugno 1921 e se pur carico di titoli araldici non è mai salito al trono come Re di Inghilterra, ma ha solo rivestito il titolo di Duca di Edimburgo. Filippo il 20 novembre del 1947 sposò Elisabetta, la figlia ed erede di re Giorgio VI d’Inghilterra, quando la futura Regina d’Inghilterra aveva 21 anni.
La figura di filippo biondo, sportivo che aveva prestato servizio in guerra da ufficiale nella Royal Navy, imparentato con i Windsor, cresciuto in Gran Bretagna si è convertito dall’ortodossia all’anglicanesimo solo il giorno del matrimonio e solo dopo aver adottato il cognome Mountbatten, appartenuto agli antenati isolani di parte materna.
L’unione tra Filippo ed Elisabetta divenne indistruttibile consolidata da una forte intesa personale, il rispetto di un certo codice di regole, dal culto della tradizione, dalla comune devozione verso gli impegni pubblici, gli obblighi di corte e malgrado la difficoltà iniziale del principe a ritagliarsi un ruolo, le rinunce per la necessità di camminare all’ombra della Regina e il sospetto di qualche scappatella. Dall’unione tra i Reali Inglesi nacquero 4 figli: Carlo che è l’erede al trono, Anna, Andrea ed Edoardo.
Filippo viene ricordato anche come artista, pittore d’acquerelli ,sportivo è giocatore di polo, driver fino a tarda età di calesse e di fuoristrada, tanto da scarrozzarvi 95enne Barack e Michelle Obama, ma soprattutto rappresentante infaticabile della Firm, la “Ditta” familiare della dinastia, in centinaia di associazioni di volontariato.
Filippo nella sua lunga vita non si è lasciato sfuggire nulla e spesso si contraddistingueva per le sue famigerate gaffe collezionate in quantità e qualcuna a tinte fosche dal sapore di pregiudizio, ma accettate da sudditi e media come una caratteristica divertente del “nonno” della nazione.
La figura di Filippo ha ottenuto il riconoscimento unanime d’aver contribuito da coprotagonista a portare la monarchia britannica nel XXI secolo.
Il vecchio marinaio fra gli ultimi reduci della II Guerra Mondiale viene considerato un pilastro del regno di Elisabetta II, nonostante stesse sempre un passo indietro alla Regina, con stile e discrezione.
Patriarca indiscusso di casa Windsor nonostante i rapporti non sempre facili in famiglia, fino alla recente fuga in America del bisnipote Harry e la moglie Meghan Markle, ma è sempre stato anche punto di riferimento per tanti sudditi e ammiratori, nonostante la meritata nomea di gaffeur impenitente.
Il duca si era ormai ritirato a vita privata nel 2017, di rado compariva al fianco di Elisabetta e l’ultima passerella di un evento pubblico era stata un paio d’anni fa, per il matrimonio della nipote lady Gabriella.
Costretto a rinunciare alla guida e alla patente dopo aver provocato, 97enne, un incidente stradale nelle vicinanze della residenza reale di campagna di Sandringham mentre l’ultimo periodo mesi Filippo lo aveva trascorso con Elisabetta nella quiete del castello di Windsor, in isolamento cautelare causa Covid e mostrandosi solo in qualche foto ufficiale: a novembre in occasione del 73esimo anniversario di nozze e a gennaio come testimonial alla sicurezza del vaccino ricevuto con Sua Maestà.
Il 16 febbraio il principe Filippo è stato ricoverato al King Edward VII Hospital di Londra “in via precauzionale” su consiglio del suo medico dopo un “malessere” causato da diversi problemi di salute, che aveva dovuto affrontare compreso qualche periodo di ricovero “precauzionale” in ospedale. Nel 2017 per una sindrome influenzale, nel 2018 per un intervento all’anca, a fine 2019 per esami e trattamenti vari e nelle settimane scorse per un’imprecisata infezione, ma estranea al Covid, (secondo Buckingham Palace) seguita da un intervento al cuore.
Il Principe era stato dimesso di recente dopo alcune settimane trascorse in ospedale a Londra a causa di una non meglio precisata infezione a cui si erano aggiunti problemi al cuore.
La notizia della morte del principe Filippo è stata accolta con decine di mazzi di fiori appoggiati di fronte a Buckingham Palace e scene analoghe di fronte al castello di Windsor.
Da tutto il mondo sono arrivati i messaggi di cordoglio. Il messaggio di cordoglio che il Presidente della Repubblica Mattarella ha inviato a Elisabetta II: “È vivo in una moltitudine di persone in tutto il mondo il ricordo di una figura che per oltre settant’anni ha offerto con esemplare dedizione il proprio servizio alla Corona ed al Regno Unito, accompagnando l’evoluzione del suo Paese con spirito aperto e innovativo”.
Il premier israeliano Benjamin Netanyhau:”È stato un perfetto funzionario statale e mancherà molto a Israele e al mondo”. Il premier canadese Justin Trudeau “Il principe Filippo è stato un uomo di grandi convinzioni e principi”. Il primo ministro indiano, Narendra Modi, ha elogiato “l’illustre” carriera militare di Filippo: “Ha avuto una brillante carriera nell’esercito ed è stato in prima linea in molte iniziative di servizio alla comunità. Possa la sua anima riposare in pace”. In una nota della Casa Bianca il presidente americano Joe Biden e la first lady piangono la scomparsa del principe Filippo: “La sua eredità vivrà non solo all’interno della sua famiglia ma in tutte le azioni d filantropia intraprese”.
Il primo ministro britannico Boris Johnson ha rilasciato una dichiarazione sulla scomparsa del principe Filippo esprimendo le sue condoglianze e gratitudine al Duca a nome dell’intera nazione per la sua “vita straordinaria”, che “ha plasmato e ispirato la vita di innumerevoli giovani” e ha aggiunto che il reale si era “guadagnato l’affetto di generazioni” sia a livello nazionale che in tutto il mondo. “Ricordiamo il Duca soprattutto per il suo fermo sostegno a Sua Maestà la Regina, non solo come sua consorte, al suo fianco, ogni giorno del suo regno, ma come suo marito, sua forza e sostegno per oltre 70 anni. Ed è a Sua Maestà e alla sua famiglia che i pensieri della nostra nazione devono andare oggi.Come l’esperto autista di carrozze quale era, ha contribuito a guidare la famiglia reale e la monarchia in modo che rimanga un’istituzione indiscutibilmente vitale per l’equilibrio e la felicità della nostra vita nazionale. Ringraziamo, come nazione e regno, per la vita e l’opera straordinarie del principe Filippo, Duca di Edimburgo “.
Un rintocco di campane lento, uno al minuto, per ciascuno dei 99 anni del Principe Filippo è stato annunciato oggi dall’abbazia di Westminster, nel cuore di Londra, in onore del consorte della regina Elisabetta.
Il governo britannico di Boris Johnson ha deciso di proclamare un periodo di lutto nazionale con la cancellazione o rinvio di iniziative politiche e pubbliche più leggere.
Lunedì si svolgerà la preannunciata seduta straordinaria della Camera dei Comuni, che avrebbe dovuto essere riconvocata non prima di martedì 13, dedicata a commemorare la figura del duca di Edimburgo: “Lo ricorderemo per il suo contributo alla nazione e per il suo solido supporto alla regina”.
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