Il ddl Zan approvato a larga maggioranza dalla Camera dei Deputati, ma bocciato al Senato.

La legge Zan contro l’omofobia si proponeva di prevenire e contrastare la discriminazione e la violenza basate sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità.
La proposta di legge, approvata in prima lettura alla Camera il 4 novembre era nata su iniziativa del deputato Pd Alessandro Zan.
Il testo prevedeva l’estensione dei reati d’odio per discriminazione razziale, etnica o religiosa (articolo 604 bis del codice penale), a chi compia discriminazioni verso omosessuali, donne, disabili.
Le modifiche In sostanza sarebbero state previste quattro modifiche alla normativa già esistente.
La prima (art.2 e 3) riguarda l’aggiunta dei reati di discriminazione basati “sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere o sulla disabilità” all’articolo 604-bis e 604-ter del codice penale, che puniscono l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi “razziali, etnici, religiosi o di nazionalità”.
La seconda modifica (art.6) riguarda l’articolo 90-quater del codice di procedura penale in cui viene definita la “condizione di particolare vulnerabilità della persona offesa”.
L’articolo contiene solo la specifica relativa all’odio razziale mentre il ddl Zan prevedeva di aggiungere le parole “fondato sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere”.
La 3^ modifica (art. 8) riguardava il decreto legislativo del 9 luglio 2003, numero 215, sulla parità del trattamento degli individui indipendentemente dal colore della pelle o dalla provenienza etnica, al quale aggiunge alcune misure di prevenzione e contrasto delle discriminazioni legate all’orientamento sessuale e all’identità di genere.
La 4^ (art.5) riguarda la legge Mancino che in questo caso si trattava di disposizioni tecniche per coordinare la legge contro l’omotransfobia con le norme già vigenti che perseguono i delitti contro l’eguaglianza.
Le pene previste erano la reclusione fino 18 mesi o una multa fino a 6.000 euro per chi avrebbe commesso o istigato a commettere atti di discriminazione; il carcere da 6 mesi a 4 anni per chi istiga a commettere o commette violenza, o per chi partecipa a organizzazioni che incitano alla discriminazione o alla violenza.
Alle discriminazioni omofobe sarebbe stata estesa un’aggravante che aumenta la pena fino alla metà.
La clausola salva idee Il testo prevede una “clausola salva idee”, che fa salve “la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte”.
Il ddl Zan articolo per articolo:
L’articolo 1 specificava le varie definizioni contenute nel testo della legge precisando che si applicano solo all’ambito definito dal ddl Zan:
– Per sesso si intende il sesso biologico o anagrafico;
– per genere si intende qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso;
– per orientamento sessuale si intende l’attrazione sessuale o affettiva nei confronti di persone di sesso opposto, dello stesso sesso, o di entrambi i sessi;
– per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di se in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione.
Una delle critiche rivolte al Ddl Zan è che queste definizioni venivano introdotto, nell’ordinamento giuridico italiano, il concetto di “identità di genere”.
Molti ritengono che l’identità di genere tenda a “cancellare la differenza sessuale per accreditare una indistinzione dei generi”
– come si legge nell’appello “di personalità dell’area di centro sinistra”
– con “una confusione antropologica che preoccupa”.
Diventerebbe “il luogo in cui si vuole che la realtà dei corpi
– in particolare quella dei corpi femminili
– venga fatta sparire”, come lamentano le associazioni femministe e lesbiche.
Insomma un concetto troppo generico.
Il termine non è nuovo ed è già stato usato dalla Corte costituzionale che, nella sentenza 221 del 2015, ha stabilito che l’identità di genere è un “elemento costitutivo del diritto all’identità personale, rientrante a pieno titolo nell’ambito dei diritti fondamentali della persona”.
L’articolo 2 Introduceva modifiche all’articolo 604-bis del codice penale diretto a tutelare il rispetto della dignità umana e del principio di uguaglianza.
L’articolo 604-bis punisce con la reclusione fino a un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro:
– chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico,
– chi istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi” e con “la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”.
Il ddl Zan prevedeva che tra i motivi di discriminazione sarebbero rientrate anche le idee fondate “sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità”.
In sostanza, si modificava solo la parte relativa all’istigazione e non alla propaganda che resta perseguibile solo quando riguarda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico.
La propaganda è, secondo la Cassazione, qualsiasi “divulgazione di opinioni finalizzata a influenzare il comportamento o la psicologia di un vasto pubblico ed a raccogliere adesioni”, mentre l’istigazione è un “reato di pericolo concreto” e richiede che le affermazioni sanzionate determinino un concreto pericolo di comportamenti discriminatori o violenti.
L’articolo 3 prevedeva analoghe modifiche apportate all’articolo 604-ter del codice penale che definisce le circostanze aggravanti “per i reati punibili con pena diversa da quella dell’ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso” oppure “al fine di agevolare l’attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità”.
In questo caso l’articolo 604-ter specifica che la pena è aumentata “fino alla metà”.
In questo caso la formula dell’articolo 604-ter si estende ai “reati punibili con pena diversa da quella dell’ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, oppure fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità”.
L’articolo 4 e la questione della libertà di espressione, la cosiddetta “clausola salva-idee” a garanzia e tutela del pluralismo delle idee e della libertà delle scelte.
Si trattava di una norma inserita dopo una mediazione all’interno della maggioranza e anche per rispondere alle molte critiche sollevate dalle opposizioni e da una ampia sfera del mondo cattolico che avevano obiettato che la sola minaccia di conseguenze penali può indurre una compressione della libertà di pensiero e di educazione sotto la minaccia di “omofobia”.
Una delle principali critiche mosse al ddl Zan è quella secondo cui introdurrebbe un “reato di opinione” nei confronti di chi è contrario, per esempio ai matrimoni e alle adozioni gay o al cambio di sesso.
Tuttavia nel nostro ordinamento i reati di opinione riguardano le manifestazioni di pensiero contrarie ai valori della Costituzione come ad esempio il Vilipendio della Repubblica e i delitti contro la personalità dello Stato in genere.
Ciò che il ddl Zan punisce non era la (lecita) manifestazione del pensiero, ma le discriminazioni e i comportamenti violenti subiti dalle minoranze a rischio.
In realtà il limite era ben definito, proprio come nel caso della propaganda, dall’esistenza o meno del “concreto pericolo di atti discriminatori o violenti”.
L’articolo 4 del Ddl Zan specificava che «ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”.
In sostanza, che non era perseguibile chi, per motivi religiosi o ideologici, manifesti idee contrarie, per esempio, al matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Tutto ciò che non determini un concreto pericolo di atti discriminatori resta protetto dall’art. 21 della Costituzione sulla libertà di manifestazione del pensiero che resta dunque salvo.
L’articolo 5 del Ddl Zan e la legge Mancino contiene una serie di disposizioni tecniche che servono a coordinare la legge contro l’omotransfobia con le norme già vigenti che perseguono i delitti contro l’eguaglianza, come la legge Mancino (“Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa).
La legge Mancino punisce con il carcere l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o di nazionalità e vieta inoltre la formazione di ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo che abbia come scopo l’incitamento alla violenza sempre per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
In questo caso il ddl Zan introduce le forme di “discriminazione fondate sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità”.
L’articolo 6 Prevede che si applichino anche alle persone discriminate in virtù del loro sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere o disabilità le norme previste per le “vittime particolarmente vulnerabili” (come stabilisce l’articolo 90-quater del codice di procedura penale).
Si tratta di quelle forme di cautela nella raccolta della denuncia o della testimonianza che servono a evitare ulteriori traumi e violenze a chi ne ha già subiti.
L’articolo 7, se approvata la legge, il 17 maggio diverrà la giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia,la bifobia e la transfobia, e sarebbe stata dedicata a promuovere, anche nelle scuole di ogni ordine e grado, il rispetto e l’inclusione e contrastare pregiudizi e discriminazioni.
L’articolo 7 del Ddl Zan prevedeva che la giornata sia un’occasione di commemorazione, informazione e riflessione in cui le scuole e le amministrazioni pubbliche organizzino iniziative di sensibilizzazione contro i pregiudizi omotransfobici, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Si trattava di iniziative di commemorazione sul modello della Giornata della Memoria contro la persecuzione degli ebrei.
Il 17 maggio già si celebra la Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia, la transfobia, ricorrenza promossa dal Comitato Internazionale per la Giornata contro l’Omofobia e la Transfobia e riconosciuta dall’Unione europea e dalle Nazioni Unite.
La data scelta non è casuale.
Il 17 maggio 1990 coincide con la decisione di rimuovere l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali nella classificazione internazionale delle malattie pubblicata dall’Oms.
L’articolo 8 del Ddl Zan stabiliva che ai compiti dell’Unar, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, venissero aggiunti quelli relativi alla “prevenzione e il contrasto delle discriminazioni per motivi legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere” e che questo deve essere fatto “compatibilmente con le risorse disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”.
L’articolo 9 Specificava chi si potesse usufruire delle case accoglienza o dei centri contro le discriminazioni motivate da orientamento sessuale e identità di genere, centri istituiti dal decreto legge 34 del 2020, poi convertito in legge, finalizzati a proteggere e sostenere le vittime lgbt+ di violenza, anche domestica.
L’articolo 10 affida all’Istituto nazionale di statistica, sentito l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (OSCAD), il compito di raccogliere dati sulle discriminazioni per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, oppure fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere con una rilevazione statistica con cadenza almeno triennale.
Categorie:POLITICA
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