A Racconigi è andata in scena la sesta giornata del campionato di Eccellenza. Le grigie, ospitate dal Racco ’86, nonostante le difficoltà trovano il tris vincente.
Per le grigie un altro avversario che sino ad ora non ha totalizzato punti, da non sottovalutare però la cattiveria agonistica e la tenacia messa in campo rivelatesi per certi versi vincenti.
La partita si è conclusa con la vittoria dell’Acf Alessandria per 3 a 0 (0-1/0-2 i parziali). Durante la partita l’Alessandria lotta e pressa, crea occasioni sprecandone altrettante nei primi minuti di gioco, troppo frettolose e poco lucide sul piano del gioco. Fatiche inutili che il mister richiama spesso.
Il possesso palla è delle ospiti, il portiere grigio Angelica Dalerba non si sporca i guantoni durante il primo tempo. Il compito per la difesa grigia diventa quello di tenere bandiera a metà campo e attendere con attenzione le eventuali ripartenze. Al minuto 37, dopo aver provato più volte a centrare il bersaglio, le ragazze di mister Tosi passano in vantaggio con il capitano Gaia Garavelli che, lasciata sola nella tre quarti, corre verso la porta e batte con un preciso pallonetto l’estremo difensore uscito per tentare una disperata difesa.
Primo tempo che finisce in favore delle grigie dopo una lotta estenuante con il terreno di gioco mal ridotto.
Nel secondo tempo, la gara recita lo stesso copione del primo. Le grigie hanno l’occasione dopo 5 minuti con Marica De Lio, l’attaccante scivola all’ultimo e non colpisce a dovere il pallone. Si farà perdonare conquistando il calcio di punizione dal limite importantissimo per il raddoppio firmato Luison all’80esimo. Il suo tiro si insacca a mezza altezza prendendo di sorpresa il portiere che vede all’ultimo la palla.
Luison completa il suo spettacolo e chiude la gara 6 minuti più tardi con un gol incredibile dai 25 metri. La centrocampista sfrutta al meglio la ribattuta della difesa sul primo tiro di De Lio, piazzando il pallone sotto la traversa.
L’Acf Alessandria mette in campo Alessia Bello e Marika Ghio al 46’ e 52’, l’ultimo per l’infortunio di Luisa Stella rimasta a terra dopo uno scontro.
Dopo 2 minuti di recupero l’Acf Alessandria festeggia la terza vittoria consecutiva, le grigie salgono al quarto posto a pari con il Cus Torino.
Il commento di mister Gabriele Tosi al termine della gara <<Partita non semplice contro una squadra che non aveva ancora fatto punti e quindi molto agguerrita. Le ragazze sono state bravissime ad approcciare la partita con il piglio giusto, unica nota negativa l’aver finito il primo tempo 1 a 0 per noi, quando avremmo potuto essere con un bottino ben più ampio. Un po’ di frenesia e di imprecisione hanno fatto in modo di tenere in partita un avversario che sembrava sempre sul punto di capitalizzare.>> – continua – <<Grazie ad una parata, l‘unica, Dalerba ha mantenuta la gara a nostro favore, ciò ci ha permesso ad inizio ripresa di gettarci a capo fitto per chiudere la partita, così è stato. Buona prestazione, domenica prossima si riposa con l’unica nota stonata dell’infortunio di Luisa stella uscita anzi tempo per un colpo al ginocchio.>>
Il G20 di Roma, che si è tenuto in questi giorni, tra dolcetto o scherzetto, si è concluso con un accordo, quasi storico, e molti buoni propositi: “contrastare i cambiamenti climatici e centrare l’obiettivo di non superare 1,5°. Un accordo storico perché, liquidata l’amministrazione Trump, (che lo ricordiamo aveva disconosciuto l’accordo di Parigi sul clima, ripreso l’utilizzo del carbone e avviato il progetto di trivellazione dell’Artico), è stato recepito da tutti oltre alla necessità di accelerare sulla transizione green ed ecosostenibile dell’economia.
La contrattazione e il lavoro di mediazione durato per una note intera per raggiungere e approvare il documento finale del summit. Attività che ha scongiurato rotture e veti applaudita dalla sala alle 10.30 del 31 ottobre.
Il documento approvato dai grandi della terra, che hanno partecipato al G20, conferma il fondo di 100 miliardi per il sostegno ai Paesi in via di sviluppo, seppur con qualche attrito sul resto degli impegni.
Le differenze sono sostanziali come ha spiegato Mario Draghi, che nel merito ha espresso la sua preoccupazione: “Non sono sufficienti”. L’Italia segue la linea più rigida, mentre Russia e Cina si propongono “il raggiungimento della neutralità carbonica entro il 2060”.
Ma è bene ricordarlo: gli accordi raggiunti al G20 rappresenteranno il punto di partenza per la Cop26, l’annuale conferenza sul clima organizzata dall’ONU.
Un occasione per definire il metodo per assicurarsi che i Paesi rispettino gli accordi presi a Parigi e che questi non rimangano solo “belle dichiarazioni” e tanti bla bla bla, come è stato nel passato.
L’accordo sul clima al G20 è stato trovato, ma non senza difficoltà e solennemente dopo una notte di intenso lavoro questa mattina i grandi della terra, capi di stato, ministri e presidenti hanno raggiunto l’accordo sul riscaldamento globale, ma non prima di aver lanciato,( toccandosi gli zebedei), la monetina portafortuna nella fontana di Trevi e per fortuna che Totò non era presente altrimenti gliela avrebbe perfino venduta.
I partecipanti al G20 hanno confermato che il riscaldamento globale non deve superare l’1,5°; soglia oltre la quale i Governi dovranno ammettere di avere fallito gli obbiettivi della sfida per l’ambiente.
Il primo ministro, Mario Draghi, ha spiegato: “agire il prima possibile per evitare conseguenze disastrose sul clima” ed esortato ad agire prima possibile per evitare che i costi, diventino insostenibili una volta superato il limite.
I partecipanti del G20 in chiusura hanno espresso la loro soddisfazione generale, nonostante le critiche per non aver fatto e proposto abbastanza.
l’accordo può essere sintetizzato in tre punti:
fondo per il clima da 100 miliardi per il sostegno ai Paesi in via di sviluppo
tetto massimo sul riscaldamento globale trovato entro 1,5°
indicazione di un periodo di tempo entro il quale attuare azioni intorno a metà del secolo
Un fondo per il clima di 100 miliardi è stato stanziato per i Paesi in via di sviluppo e prevede un sostegno ai Paesi per incrementare la produzione senza innalzare le emissioni.
Un passo indietro importantissimo è stato fatto sul tetto massimo accettabile del riscaldamento globale, fissato a 1,5°, riconoscendo allo stato attuale che non c’è alcuna possibilità di “cura”.
Le attività economiche e industriali, il consumo di suolo e l’energia prodotta con lo sfruttamento del carbone e dei fossili ha prodotto nel tempo conseguenze nefaste per l’ambiente e non possono essere fermate, ma possono essere contenute con investimenti nei Paesi in via di sviluppo, che rappresenta un impegno per evitare scenari di migrazione per danni subiti dall’ambiente.
Ma se tutti leader presenti al G20 si sono dimostrati consapevoli dei disastri provocati dai danni ambientali e che il prossimo decennio potrà fare la differenza in tema di difesa del clima per salvaguardare il pianeta per le generazioni future, resta il nervo scoperto su cui la tutta le discussione rischia di arenarsi: “Il problema è semplicemente economico, i soldi della discordia a cui nessuno dei grandi intende rinunciare”.
Il G20 ha concluso le trattative decidendo di non rifinanziare dal 2022 le centrali a carbone, considerate troppo inquinanti, le cui emissioni sono le maggiori colpevoli per i cambiamenti climatici.
Il Presidente francese, Emmanuel Macron, ha sottolineato l’impegno ad accelerare l’uscita dal carbone, mettendo un termine ai finanziamenti delle centrali a carbone, in particolare in Africa.
Emmanuel Macron ha da tempo puntato sull’energia nucleare per il passaggio alle energie green mentre l’Europa non si è ancora espressa in merito all’inserimento del nucleare nella categoria green.
Ma il G20 si è dimostrato troppo timido nelle indicazioni per dare una accelerata al passaggio al raggiungimento degli obbiettivi per la produzione di energia green con un generico metà secolo, quando invece deve avvenire il prima possibile insieme all’ambizioso progetto di “emissioni zero”.
Il 2050 resta un obbiettivo teorico perché non tutti si sono dimostrati concordi con quanto scritto nel documento conclusivo: Russia e Cina perseguono obbiettivi economici e di produzione individuali e hanno già annunciato una loro uscita dall’energia a carbone con 10 anni di ritardo, entro il 2060.
Ma 10 anni potrebbero fare la differenza e Mario Draghi ha sottolineato la necessità di un cambiamento di rotta.
Il Presidente americano Joe Biden si è rivolto in particolare ai leader accanto a lui e un messaggio per i più giovani: “Non voglio che le precedenti generazioni guardino al vertice di oggi pensando: ecco come abbiamo fallito. Le future generazioni devono pensare: ecco perché abbiamo avuto successo”.
Il ddl Zan approvato a larga maggioranza dalla Camera dei Deputati, ma bocciato al Senato.
Manifstazionecontro labocciatura del Ddl Zan a Milano(foto Repubblica)
La legge Zan contro l’omofobia si proponeva di prevenire e contrastare la discriminazione e la violenza basate sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità.
La proposta di legge, approvata in prima lettura alla Camera il 4 novembre era nata su iniziativa del deputato Pd Alessandro Zan.
Il testo prevedeva l’estensione dei reati d’odio per discriminazione razziale, etnica o religiosa (articolo 604 bis del codice penale), a chi compia discriminazioni verso omosessuali, donne, disabili.
Le modifiche In sostanza sarebbero state previste quattro modifiche alla normativa già esistente.
La prima (art.2 e 3) riguarda l’aggiunta dei reati di discriminazione basati “sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere o sulla disabilità” all’articolo 604-bis e 604-ter del codice penale, che puniscono l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi “razziali, etnici, religiosi o di nazionalità”.
La seconda modifica (art.6) riguarda l’articolo 90-quater del codice di procedura penale in cui viene definita la “condizione di particolare vulnerabilità della persona offesa”.
L’articolo contiene solo la specifica relativa all’odio razziale mentre il ddl Zan prevedeva di aggiungere le parole “fondato sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere”.
La 3^ modifica (art. 8) riguardava il decreto legislativo del 9 luglio 2003, numero 215, sulla parità del trattamento degli individui indipendentemente dal colore della pelle o dalla provenienza etnica, al quale aggiunge alcune misure di prevenzione e contrasto delle discriminazioni legate all’orientamento sessuale e all’identità di genere.
La 4^ (art.5) riguarda la legge Mancino che in questo caso si trattava di disposizioni tecniche per coordinare la legge contro l’omotransfobia con le norme già vigenti che perseguono i delitti contro l’eguaglianza.
Le pene previste erano la reclusione fino 18 mesi o una multa fino a 6.000 euro per chi avrebbe commesso o istigato a commettere atti di discriminazione; il carcere da 6 mesi a 4 anni per chi istiga a commettere o commette violenza, o per chi partecipa a organizzazioni che incitano alla discriminazione o alla violenza.
Alle discriminazioni omofobe sarebbe stata estesa un’aggravante che aumenta la pena fino alla metà.
La clausola salva idee Il testo prevede una “clausola salva idee”, che fa salve “la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte”.
Il ddl Zan articolo per articolo:
L’articolo 1 specificava le varie definizioni contenute nel testo della legge precisando che si applicano solo all’ambito definito dal ddl Zan:
– Per sesso si intende il sesso biologico o anagrafico;
– per genere si intende qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso;
– per orientamento sessuale si intende l’attrazione sessuale o affettiva nei confronti di persone di sesso opposto, dello stesso sesso, o di entrambi i sessi;
– per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di se in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione.
Una delle critiche rivolte al Ddl Zan è che queste definizioni venivano introdotto, nell’ordinamento giuridico italiano, il concetto di “identità di genere”.
Molti ritengono che l’identità di genere tenda a “cancellare la differenza sessuale per accreditare una indistinzione dei generi”
– come si legge nell’appello “di personalità dell’area di centro sinistra”
– con “una confusione antropologica che preoccupa”.
Diventerebbe “il luogo in cui si vuole che la realtà dei corpi
– in particolare quella dei corpi femminili
– venga fatta sparire”, come lamentano le associazioni femministe e lesbiche.
Insomma un concetto troppo generico.
Il termine non è nuovo ed è già stato usato dalla Corte costituzionale che, nella sentenza 221 del 2015, ha stabilito che l’identità di genere è un “elemento costitutivo del diritto all’identità personale, rientrante a pieno titolo nell’ambito dei diritti fondamentali della persona”.
L’articolo 2 Introduceva modifiche all’articolo 604-bis del codice penale diretto a tutelare il rispetto della dignità umana e del principio di uguaglianza.
L’articolo 604-bis punisce con la reclusione fino a un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro:
– chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico,
– chi istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi” e con “la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”.
Il ddl Zan prevedeva che tra i motivi di discriminazione sarebbero rientrate anche le idee fondate “sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità”.
In sostanza, si modificava solo la parte relativa all’istigazione e non alla propaganda che resta perseguibile solo quando riguarda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico.
La propaganda è, secondo la Cassazione, qualsiasi “divulgazione di opinioni finalizzata a influenzare il comportamento o la psicologia di un vasto pubblico ed a raccogliere adesioni”, mentre l’istigazione è un “reato di pericolo concreto” e richiede che le affermazioni sanzionate determinino un concreto pericolo di comportamenti discriminatori o violenti.
L’articolo 3 prevedeva analoghe modifiche apportate all’articolo 604-ter del codice penale che definisce le circostanze aggravanti “per i reati punibili con pena diversa da quella dell’ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso” oppure “al fine di agevolare l’attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità”.
In questo caso l’articolo 604-ter specifica che la pena è aumentata “fino alla metà”.
In questo caso la formula dell’articolo 604-ter si estende ai “reati punibili con pena diversa da quella dell’ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, oppure fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità”.
L’articolo 4 e la questione della libertà di espressione, la cosiddetta “clausola salva-idee” a garanzia e tutela del pluralismo delle idee e della libertà delle scelte.
Si trattava di una norma inserita dopo una mediazione all’interno della maggioranza e anche per rispondere alle molte critiche sollevate dalle opposizioni e da una ampia sfera del mondo cattolico che avevano obiettato che la sola minaccia di conseguenze penali può indurre una compressione della libertà di pensiero e di educazione sotto la minaccia di “omofobia”.
Una delle principali critiche mosse al ddl Zan è quella secondo cui introdurrebbe un “reato di opinione” nei confronti di chi è contrario, per esempio ai matrimoni e alle adozioni gay o al cambio di sesso.
Tuttavia nel nostro ordinamento i reati di opinione riguardano le manifestazioni di pensiero contrarie ai valori della Costituzione come ad esempio il Vilipendio della Repubblica e i delitti contro la personalità dello Stato in genere.
Ciò che il ddl Zan punisce non era la (lecita) manifestazione del pensiero, ma le discriminazioni e i comportamenti violenti subiti dalle minoranze a rischio.
In realtà il limite era ben definito, proprio come nel caso della propaganda, dall’esistenza o meno del “concreto pericolo di atti discriminatori o violenti”.
L’articolo 4 del Ddl Zan specificava che «ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”.
In sostanza, che non era perseguibile chi, per motivi religiosi o ideologici, manifesti idee contrarie, per esempio, al matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Tutto ciò che non determini un concreto pericolo di atti discriminatori resta protetto dall’art. 21 della Costituzione sulla libertà di manifestazione del pensiero che resta dunque salvo.
L’articolo 5 del Ddl Zan e la legge Mancino contiene una serie di disposizioni tecniche che servono a coordinare la legge contro l’omotransfobia con le norme già vigenti che perseguono i delitti contro l’eguaglianza, come la legge Mancino (“Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa).
La legge Mancino punisce con il carcere l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o di nazionalità e vieta inoltre la formazione di ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo che abbia come scopo l’incitamento alla violenza sempre per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
In questo caso il ddl Zan introduce le forme di “discriminazione fondate sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità”.
L’articolo 6 Prevede che si applichino anche alle persone discriminate in virtù del loro sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere o disabilità le norme previste per le “vittime particolarmente vulnerabili” (come stabilisce l’articolo 90-quater del codice di procedura penale).
Si tratta di quelle forme di cautela nella raccolta della denuncia o della testimonianza che servono a evitare ulteriori traumi e violenze a chi ne ha già subiti.
L’articolo 7, se approvata la legge, il 17 maggio diverrà la giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia,la bifobia e la transfobia, e sarebbe stata dedicata a promuovere, anche nelle scuole di ogni ordine e grado, il rispetto e l’inclusione e contrastare pregiudizi e discriminazioni.
L’articolo 7 del Ddl Zan prevedeva che la giornata sia un’occasione di commemorazione, informazione e riflessione in cui le scuole e le amministrazioni pubbliche organizzino iniziative di sensibilizzazione contro i pregiudizi omotransfobici, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Si trattava di iniziative di commemorazione sul modello della Giornata della Memoria contro la persecuzione degli ebrei.
Il 17 maggio già si celebra la Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia, la transfobia, ricorrenza promossa dal Comitato Internazionale per la Giornata contro l’Omofobia e la Transfobia e riconosciuta dall’Unione europea e dalle Nazioni Unite.
La data scelta non è casuale.
Il 17 maggio 1990 coincide con la decisione di rimuovere l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali nella classificazione internazionale delle malattie pubblicata dall’Oms.
L’articolo 8 del Ddl Zan stabiliva che ai compiti dell’Unar, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, venissero aggiunti quelli relativi alla “prevenzione e il contrasto delle discriminazioni per motivi legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere” e che questo deve essere fatto “compatibilmente con le risorse disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”.
L’articolo 9 Specificava chi si potesse usufruire delle case accoglienza o dei centri contro le discriminazioni motivate da orientamento sessuale e identità di genere, centri istituiti dal decreto legge 34 del 2020, poi convertito in legge, finalizzati a proteggere e sostenere le vittime lgbt+ di violenza, anche domestica.
L’articolo 10 affida all’Istituto nazionale di statistica, sentito l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (OSCAD), il compito di raccogliere dati sulle discriminazioni per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, oppure fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere con una rilevazione statistica con cadenza almeno triennale.
La storia assurda per quanto sia perfino troppo radicata nell’Italia dell’odio, della paura, della strumentalizzazione politica di una immagine di una società che si arrotola su se stessa per giustificare l’uccisione preventiva di due ragazzi scambiati per ladri. E così un camionista di 53 anni pistola in pugno spara a due ragazzi seduti nell’auto parcheggiata nelle vicinanze della villetta di proprietà del loro assassino.
Il camionista impugnata la sua pistola ha ucciso sparando 11 volte Giuseppe Fusella, di 26 anni, e Tullio Pagliaro, di 27 con l’unica colpa di essersi fermati in auto davanti alla villetta di periferia dell’assassino e ancora non sono chiari i motivi di tanta follia.
Il lungo interrogatorio del procuratore aggiunto di Napoli Pierpaolo Filippelli non ha chiarito la dinamica dei fatti perché Palumbo ha sostenuto di essere stato svegliato dalla sirena del sistema d’allarme della sua abitazione, di avere preso la sua pistola, che custodiva sotto il letto dopo avere subito un furto lo scorso 4 settembre, e di essere uscito sul terrazzo di casa con la ferma intenzione di respingere i ladri. ma la ricostruzione è già smentita dai rilievi degli investigatori che parlano di almeno 11 colpi esplosi contro l’utilitaria mentre si allontanava e nell’auto non è stato trovato nulla che facesse pensare all’organizzazione di un furto. anzi i due ragazzi secondo le ricostruzioni delle testimonianze pare stessero ritornando da una partita di calcetto.
L’indagato nell’interrogatori ha anche riferito di avere visto un giovane scappare dalla sua proprietà: il ragazzo dopo avere udito le grida si sarebbe rifugiato nella Fiat Panda che lo attendeva davanti alla sua abitazione con il motore accesso e di avere sparato 4 o 5 volte contro l’autovettura nonostante la pistola si fosse inceppata dopo il primo colpo.
La sua versione dei fatti non ha convinto gli inquirenti, che invece ritengono trattarsi del tentativo di giustificare un duplice omicidio volontario senza alcuna valida motivazione.
Nell’auto dei due ragazzi non sono stati trovate armi da fuoco o materiale atto ad offendere.
Nell’auto non c’erano arnesi “da scasso” e neppure indumenti che avrebbero potuto travisare il loro volto per renderli irriconoscibili.
Nessuno degli elementi raccolti dai inquirenti, in sostanza, fa ritenere che quei due ragazzi fossero in procinto di commettere un furto o una rapina mentre appare incredibile il comportamento di Palumbo.
Palumbo inoltre non avrebbe esploso, con la sua pistola Beretta calibro 40 legalmente detenute, 4 o 5 colpi, come dice, ma ben 11 colpi, contro la Fiat Panda a bordo della quale c’erano Giuseppe e Tullio.
Cinque proiettili hanno raggiunto alla testa i due ragazzi mentre l’auto si stava allontanando dalla villetta.
L’Avvocato dell’omicida racconta che il suo assistito : “CHIEDE SCUSA, NON VOLEVA UCCIDERE”
L’avvocato d’ufficio del pluriomicida, Francesco Pepe ha fatto sapere che: “Il signor Vincenzo Palumbo chiede scusa ai familiari, non voleva uccide. Anche lui è profondamente addolorato. Aspettiamo che la magistratura faccia il suo lavoro”.
Portici, la città dove i due ragazzi vivevano, l’intera comunità é sotto choc. Nessuno riesce a capacitarsi.
Giorgio Pisano, sacerdote alla Chiesa del Sacro Cuore in via Diaz: “Poveri ragazzi! Vicinanza e preghiera per le famiglie prostrate dal dolore”. Emiliano Mellone tecnico nazionale di tennis, istruttore del 27enne, ucciso insieme a Giuseppe FusellaTullio: “Pagliaro era un ragazzo fantastico, buonissimo, affabile, altruista, generoso”.
Il sindaco di Portici, Vincenzo Cuomo, ha annunciato la proclamazione del lutto cittadino: “Il dolore per l’uccisione di due ragazzi perbene e innocenti avvolge una intera comunità. Poi ci sarà il momento dei perché e dei per come sia potuta accadere questa immane tragedia, e noi ci saremo”.
La sfida valida della settima giornata del campionato di serie A femminile vede per la prima volta in campo le due squadre allenate da Rita Guarino: la Juventus delle pluricampionesse italiane, squadra con cui ha vinto 4 campionati consecutivi, e la squadra attuale l’Inter, che punta ad emerger e nel panorama calcistico femminile italiano.
Una sfida di Rita contro se stessa perchè se la Juventus non ha cambiato molto nella composizione della squadra dagli anni scorsi, alcune novità interessanti le possiamo trovare nell’Inter con l’inserimento in organico di Nchout, autrice del goal del pareggio contro la Roma, dal primo minuto di gioco e Bonetti che partirà dalla panchina.
Le neroazzurre hanno deciso di mettere ansia e paure alle ospiti bianconere, che ripropongono la formazione classica. Bonfantini e Lenzini in panchina in attesa di dare il cambio a compagne titolari della squadra.
Le ragazze di Rita Guarino sanno che oggi devono disputare la partita della vita, che vale un campionato, non ai fini della classifica, ma per darsi una carica agonistica in vista dei prossimi impegni calcistici, e decise a portare a casa un risultato storico contro le bianconere hanno disputato una gara come mai si era visto in questo e negli scorsi campionati. Determinate aggressive e consapevoli di avere grandi capacità agonistiche.
Il calcio di inizio affidato alla Juventus e Inter che attacca dalla destra della tribuna.
Nei primi minuti di gioco le Le bianconere mostrano di essere a loro agio e perfettamente in grado di controllare la partita mentre l’Inter ha preparato molto attentamente la gara contro la Juventus, a inizio partita difende e si affida al contropiede con Merlo, Nchout e Pandini.
La prima occasione per le bianconere al 10 minuto con un cross di Lundorf nell’area piccola neroazzurra sulla testa di Zamanian, anticipata da Durante.
La porta di Pauline messa a rischio da una ripartenza sbagliata di Salvai e una incomprensione con Pedersen, che effettua un retropassaggio pericolosissimo spiazzando Pauline e solo per un soffio la palla ha sfiorata il palo esterno, palla recuperata infine da Gama.
L’Inter dopo il primo quarto d’ora di gioco ha preso coraggio e possesso palla, creato almeno due occasioni da goal che solo l’intervento di Gama prima e Lundorf poi hanno bloccato due azione offensive delle neroazzurre.
Al 20° esaurita la prima ondata offensiva delle neroazzurre sono di nuovo le juventine a portarsi in attacco: Hurtig con una azione solitaria tenta di penetrare in area interista e poi Lundorf, Bonansea e Girelli.
L’Inter ci prova di nuovo in contropiede e dopo una discesa velocissima è Simonetti che di testa sfiora la traversa.
Zamanian al tiro su calcio di punizione direttamente sulla testa di Girelli, Durante blocca.
Alla mezz’ora di gioco la partita è combattutissima tra le due formazioni e mai in questo campionato abbiamo mai visto un Inter così determinato e combattivo.
Una gara nella gara è la sfida tra Boattin e Nchout con Lisa che ha il compito di vanificare i tentativi di contropiede di Nchout. Boattin per il momento ha sempre avuto la meglio sulla neroazzurra, che sta affrontando facendo valere le proprie doti fisiche.
Pandini Marinelli in tandem in contropiede hanno messo per la prima volta alla prova Pauline che ha risposto a una grande Marinelli, però pescata in fuorigioco prima del passaggio.
Ottima ripartenza della Juventus con Zamanian sprecata dall’incomprensione tra Girelli e Lundorf al 38°.
Secondo tempo.
Al primo minuto di gioco è la traversa colpita da Karchouni a negare il vantaggio alle neroazzurre, che dal limite dell’area ha scaricato una bordata e messo fuori causa Pauline.
l’Inter di nuovo offensivo con Sonstevold che serve Csiszaar in area, Pauline blocca.
Hurtig risponde alle neroazzurre con un tiro teso, su assist di Girelli, fuori di un soffio, la partita è sempre combattutissima senza soluzioni di continuità, nessuna delle calciatrici in campo si risparmia e i ritmi di gioco sono altissimi.
Esce 7 Marinelli e 27 Csiszar entra 10 Bonetti e 17 Portales tra le neroazzurre.
Entra Cernoia esce Rosucci per le bianconere.
Giallo per Simonetti per fallo su Zamanian, Salvai al tiro, retropassaggio per Pauline, che scarica su Cernoia in tandem con Girelli, che dal fondo crossa sulla testa Bonansea, nell’unica occasione in cui non ha subito una triplice marcatura, goal.
Inter 0 Juventus 1
Escono Zamaninan, Girelli e Bonansea entrano Caruso e Bonfantini e Staskova.
Nchout ricevuta la palla in area di rigore finta una girata a destra, poi con una velocissima torsione contraria scarica la palla in rete dove Pauline non può arrivare.
Inter 1 Juventus 1
Boattin ruba palla a centro campo, serve Staskova in area di rigore, ma mentre sembrava che Merlo avesse toccato la palla prima di Andrea per un provvidenziale assist alla giovanissima calciatrice bianconera, che di testa supera Durante mettendo la palla in rete sul secondo palo, per una questione di pochi centimetri, invece, è Andrea Staskova che nitidamente anticipa Merlo.
Inter 1 Juventus 2
Prova l’Inter con Bonetti, azione fotocopia a parti invertite, fuori di pochissimo dai pali difesi da Pauline.
Al 40° si gioca in un fazzoletto di terra con l’Inter che prova a riacciuffare il risultato. La Juventus riparte in contropiede con Staskova che serve Caruso atterrata al limite dell’area di rigore. Si incarica del tiro Cernoia, che poi cede a Caruso, palla alta sulla traversa.
Gama atterra Bonetti e punizione per l’Inter, si incarica del tiro Kachouni, Pauline si esibisce in una splendida parata.
La Juventus si aggiudica la gara per 2 a 1, ma un Inter così determinato e organizzato non si era ancora visto.
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