Mese: dicembre 2020

QUARGNENTO. AUGURI DI BUON ANNO NUOVO DALLA REDAZIONE DEL QUOTIDANO ON LINE.

E così un altro anno è passato, un ano difficile, un anno che vorremmo dimenticare in fretta, che vorremmo non fosse mai iniziato e perciò mai finito.

L’anno appena concluso la redazione e l’agenzia PhotoAgency vogliono ricordarlo con un mix video del Lockdown.

Quello che avremmo sperato di avere e ci è stato negato.

Invece No il 2020 è stato un altro anno che abbiamo vissuto insieme, insieme abbiamo sofferto la lontananza degli amici, delle fidanzate e fidanzati. Un anno pieno di contradizioni diviso tra speranze e negazioni, il perenne conflitto tra la voglia di trasgressione e la paura del contagio.

Li abbiamo visti, li abbiamo guardati allibiti quelli in piazza senza mascherina, senza protezioni e senza quel minimo di capacità critica che la prudenza di questo periodo imporrebbe, essere un tantino più attenti alla propria salute, alla propria vita, al benessere personale e alla salute di quanti sono entrati in contatto con noi.

Bene l’anno vecchio è passato e ora ci attendono sfide nuove, il vaccino che in pochi mesi è diventato una realtà, la voglia di ritornare ad abbracciarci, di darci le pacche sulle spalle, di parlare guardandoci in faccia e non nascosti dietro una mascherina.

Tutto questo è possibile perché abbiamo voglia di ricominciare a regalarci il sogno di una vita migliore.

Buon 2021 a tutti e tutti insieme ce la faremo a uscire dall’incubo “coronavirus”

#FESTEGGIAINSICUREZZA

ALESSANDRIA. AGGRESSIONE A COLPI DI PISTOLA AD ARIA COMPRESSA, UN FERITO E UN ARRESTO.

Un uomo Mattia S. di 33 anni, il 23 dicembre, aveva aggredito, minacciato il titolare del bar Felice nel centro di Alessandria e ferito una persona con una pistola ad aria compressa.

Fermato dai Carabinieri del Nucleo Radiomobile di Alessandria, aveva violato più volte le misure restrittive con alcuni episodi di stalking nei giorni 21 e 23 dicembre, ma oggi in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 24 dicembre dal Gip del Tribunale di Alessandria è stato arrestato e accompagnato alla casa circondariale “Cantiello e Gaeta, di Alessandria.

TRENTO. AGITU GUDETA VITTIMA DEL FEMMINCIDIO E DELLA CULTURA TRIBALE.

Agitu Gudeta sarebbe stata uccisa nella sua azienda dal custode che ha confessato l’omicidio: colpita con un martello e violentata mentre era agonizzante.

AGITU GUDETA: LA FUGA DALL’ETIOPIA E IL RISCATTO IN TRENTINO.

Agitu Gudeta aveva fondato la sua azienda agricola “La capra felice”, un sogno della sua speranza di libertà e di integrazione culturale.

Il Trentino è stata la seconda casa, la patria ritrovata, per Agitu costretta a fuggire dall’Etiopia per le minacce subite a causa del suo impegno contro il “land grabbing”, la razzia di terre dei pastori da parte delle multinazionali.

Agitu Gudeta su suo profilo Facebook aveva postato gli auguri per tutta quella umanità che gli apparteneva: “Buon Natale a te che vieni dal sud, buon Natale a te che vieni dal nord, buon Natale a te che vieni dal mare, buon Natale per una nuova visione e consapevolezza nei nostri cuori”.

Lucia Coppola dei Verdi del Trentino ha parlato di un giorno tristissimo per le donne, il Trentino e l’umanità intera: “Il dolore per la perdita di Agitu Ideo Gudeta è immenso. Era una donna libera e intelligente, sapiente e forte. Coraggiosa e piena di energia vitale e positività. La sua morte è una sconfitta per il nostro Trentino, terra di accoglienza e rispetto. Il dolore e la disperazione ci fanno stringere il cuore. Si è spento un sorriso, il sole luminoso d’Africa. La potenza e la forza di una persona speciale. L’amore per la terra e gli animali. L’incontro di culture, l’intelligenza dei saperi materiali, unita a quella dello spirito. Una sensibilità straordinaria e tanta bellezza. Il nostro cuore, il cuore di tante donne e uomini di buona volontà batte per lei. E trema e soffre per questa immensa ingiustizia”.

Agitu aveva ricevuto la Bandiera verde di Legambiente per la “determinazione e passione nel portare avanti un’importante esempio di difesa del territorio, di imprenditoria sostenibile e di integrazione”.

L’omicidio di Agitu ha suscitato una forte emozione in Trentino, dove era diventata un simbolo per aver dato vita al progetto di recupero ambientale e produttivo, il recupero della capra mochena in via di estinzione e che la Provincia di Trento aveva deciso di salvare alcuni anni fa.

L’attività di Agitu era molto apprezzata e recentemente aveva aperto a Trento un punto vendita dei prodotti delle capre e dell’agricoltura biologica.

Agitu, nata ad Addis Abeba l’1 gennaio 1978, terminati gli studi in Etiopia aveva soggiornato in Italia per motivi di studio, iscritta alla facoltà di Sociologia di Trento, dove si era laureata con una tesi sull’economia rurale dei Paesi in via di sviluppo. In Etiopia era tornata per seguire un progetto di cooperazione con la tribù dei Boran, pastori nomadi che vivono con capre e cammelli.

Nel 2010, dopo aver subito minacce ed essere stata inquisita dal regime di Menghistu era tornata a Trento come rifugiata, ma non aveva mai dimenticato le sue origini e nonostante la fuga rocambolesca dall’Etiopia aveva avviato una attività culturale di conoscenza e promozione delle proprie tradizioni. 

Il suo assassino si chiama Adams, un pastore ghanese di 32 anni, ed ha già ammesso la propria responsabilità davanti ai carabinieri e al magistrato. Il gesto dopo una lite scoppiata in casa di Agitu per uno stipendio non corrisposto. L’uomo ha impugnato un martello, che la vittima teneva dietro a un termosifone di casa, colpendola con quello alla testa ,ma quello che ancora resta senza spiegazione è la violenza sessuale su Agitu mentre era a terra agonizzante.

Agitu, Etiope, il 1° gennaio avrebbe compiuto 43 anni, ma la sua vita piena di bellezza è stata stroncata dai colpi di martello che le hanno fracassato la testa nell’ex canonica di Plankerhoff, a Frassilongo, nella vallata trentina di Mocheni.

Adams Suleimani, pastore ghanese a cui Agitu aveva dato lavoro come custode della azienda, è stato immediatamente sospettato dell’omicidio e dopo essere stato ascoltato a lungo è stato fermato. Adams è stato rintracciato nella stalla dell’azienda in cui aveva cercato rifugio e davanti ai carabinieri e al magistrato ha ammesso la propria responsabilità. Adams ha raccontato che la lite è scoppiata in casa di Agitu per ragioni economiche, per uno stipendio non corrisposto. Adams avrebbe impugnato un martello di proprietà della vittima colpendola alla testa più volte fino a lasciarla a terra, ma mentre Agitu era a terra agonizzante l’avrebbe violentata. Questo particolare agghiacciante, però contrasta fortemente con la confessione resa da Adams che ha parlato di una lite per motivi economici e non una lite per motivi passionali, quindi non si spiega la violenza sessuale che ha il sapore di un gesto di sfregio sul corpo di Agitu.

In Italia la vita di Agitu non è stata sempre facile, anzi non lo è stata quasi mai, aveva dovuto confrontarsi con violenze, diffidenze e problemi di integrazione: “Mi insultano, mi chiamano brutta negra, dicono che me ne devo andare e che questo non è il mio posto”. Agitu era stata vittima di stalking e per questo un pastore della zona è stato condannato a 9 mesi di reclusione per lesioni nei suoi confronti, ma assolto dall’accusa di stalking aggravato dall’odio razziale.

L’uomo è stato uno dei primi sospettati per il femminicidio e uno dei primi ad essere interrogato nella caserma dei carabinieri di Borgo Valsugana, dopo la scoperta del corpo di Agitu senza vita.

Agitu è stata trovata da una vicina di casa entrata perché preoccupata dal fatto che non si era presentata ad un appuntamento con un geometra per discutere l’ampliamento dell’azienda agricola. Il pastore è risultato estraneo all’omicidio, ma tramite l’avvocato Claudio Tasin, ha voluto rilasciare una dichiarazione: “E’ una tragedia. Non c’è giustificazione per quanto accaduto e lo dico nonostante la mia esperienza personale”.

A Plankerhoff si è recato il sostituto procuratore Giovanni Benelli che coordina l’inchiesta per omicidio volontario insieme al procuratore Sandro Raimondi.

ROMA. MAFIA E POLITICA: ARRESTATA CONSIGLIERA REGIONALE PER ESTORSIONE CON METODO MAFIOSO.

Il copione del film a cui stiamo assistendo è lo stesso che si ripete da mesi e anni sempre simile a se stesso: rapporti mafia politica con politici troppo spesso collusi con i clan per uno scambi odi favori, pacchetti di voti per appoggiare appalti e richieste economiche a favore di mafiosi, ‘ndranghetisti e camorristi. L’ ex consigliera regionale di centro destra Gina Cetrone è stata arrestata per estorsione con metodo mafioso.

La coordinatrice regionale di “Cambiamo! Con Toti”, ex Forza Italia di Latina, Gina Cetrone, secondo quanto scoperto dagli inquirenti si sarebbe rivolta agli uomini del clan Di Silvio per riscuotere i crediti a favore di una società di sua proprietà.

L’elemento che più inquieta, nella nuova stagione politica, è che ancora una volta a latina, ma è già successo in quasi tutte le altre regioni italiane, le indagini fanno emergere rapporti tra il clan e politici di centrodestra, con la criminalità organizzata pronta a sostenere e cedere pacchetti di voti a disposizione di politici corruttibili in cambio di favori.

La politica Gina Cetrone, ex consigliera del Lazio di Forza Italia e attualmente coordinatrice regionale di “Cambiamo! Con Toti”, finita al centro della cronaca perché è stata arrestata questa mattina insieme ad Armando, Gianluca e Samuele Di Silvio, considerati elementi di spicco del clan Di Silvio di Latina, finito nei mesi scorsi al centro di importanti inchieste giudiziarie che sono arrivate ad accertarne i rapporti con la politica, in particolare con Lega e Fratelli d’Italia.

In manette è finito il marito di Gina Cetrone Umberto Pagliaroli con gli altri indagati che sono accusati a vario titolo di estorsione, atti di illecita concorrenza e violenza privata aggravati dal metodo mafioso.

La politica e gli altri indagati sono stati arresti questa mattina su disposizione del gip del Tribunale di Roma, dopo la richiesta avanzata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma che ha condotto le indagini.

Le indagini fanno emergere un quadro inquietante sul ruolo dell’ex consigliera regionale Gina Cetrone e il marito, un imprenditore attivo nel settore del vetro, che avrebbero non solo utilizzato i Di Silvio per affiggere abusivamente i manifesti durante le campagne elettorali, ma come manovalanza per recuperare i crediti che vantavano nei confronti di altri imprenditori.

La coppia intratteneva rapporti direttamente con Armando di Silvio, conosciuto anche come Lallà, considerato elemento di vertice del clan di sinti italiani molto potente a Latina.

Con Armando sono stati raggiunti dall’ordinanza di custodia in carcere anche i figli Gianluca e Samuele di Silvio.

Gli investigatori hanno aperto un vero e proprio vaso di pandora sull’attività della coppia che si è macchiata di reati gravissimi che vanno dall’estorsione con metodo mafioso, al sequestro di persona, alle minacce per obbligare le vittime a pagare i debiti.


L’episodio più grave nell’aprile del 2016 quando, l’esponente politico e il marito, chiesero l’intervento dei Di Silvio per fare pressioni su un imprenditore in ritardo con il pagamento di una fornitura di vetro.

L’uomo trattenuto contro la sua volontà in casa di Gina Cetrone e del marito, dove l’imprenditore era stato convocato in precedenza, aveva subito le minacce di Armano Di Silvio e dei due figli.

Il giorno dopo l’uomo bonificava 15.000 euro alla VETRITALIA SRL e consegnava 600 euro ai tre uomini per il “disturbo”.

ALESSANDRIA. UBRIACO PICCHIA AGENTE DI POLIZIA LOCALE.

Il 23 Dicembre 2020 gli agenti di polizia locale e il personale del 118 sono intervenuti per i rilievi a seguito di un incidente stradale in via marengo, ma uno dei conducenti coinvolti nel sinistro presentava notevoli alterazioni psicofisiche e l’alito che puzzava di vino.

Le condizioni dell’uomo richiedevano accertamenti più approfonditi con l’uso dell’etilometro per accertare le reali condizioni fisiche dell’uomo e escludere problemi neurologici, ma il rifiuto dell’uomo è stato categorico e dopo alcuni tentativi da parte del personale sanitario e le spiegazioni da parte degli agenti di polizia locale delle conseguenze a cui andava incontro rifiutandosi di sottoporsi all’alcol test l’uomo è sceso dall’auto e mentre barcollava vistosamente è riuscito a sferrare una manata al volto di un operatore, causandogli lesioni guaribili in 3 giorni.

L’uomo un alessandrino di 47 anni è stato arrestato per violenza, resistenza a Pubblico Ufficiale e denunciato per la violazione di cui all’art. 186 c. 7 CdS.

L’uomo, terminati gli accertamenti, è stato
accompagnato in regime di detenzione domiciliare presso la sua abitazione, a disposizione del Magistrato per il rito direttissimo, svoltosi il giorno seguente ed a seguito del quale, il Giudice
disponeva la misura dell’ obbligo di firma presso un Ufficio di polizia Giudiziaria per tre giorni alla settimana.